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‘Che tempo che fa’, le dichiarazioni di Djokovic

07/04/2014

“La prima parola che associo al tennis è amore, la seconda gioia e divertimento. Se queste cose non sono presenti, non gioco più. Non gioco per soldi. A 4-5 anni ho visto il tennis in tv ed è diventato un amore e una passione e, adesso, è lo stesso”. Novak Djokovic, uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi (al 2° posto nel ranking mondiale – ma fino al 2011, al primo – con 6 Grandi Slam – Australian Open, Wimbledon, US Open – e 43 titoli vinti in carriera, due dei quali negli ultimi venti giorni), si è raccontato, ieri sera, a Che tempo che fa, intervistato da Fabio Fazio, spiegando il suo rapporto con lo sport che lo ha reso tra i migliori sui campi di tennis di tutto il mondo.

Il tennista, in un italiano praticamente perfetto (“non è la mia prima lingua, lo parlo solo perché mi piace, non ho mai preso lezioni, ma sono innamorato dell’Italia”) ha commentato anche la sua ultima vittoria, agli Open di Miami, il 30 marzo scorso, contro il rivale storico, Rafael Nadal che, prima della partita, aveva affermato che la sua unica chance di vittoria era giocare al meglio sperando in una giornata poco favorevole per il suo avversario: “ho vinto 18 volte ma ho perso 22. Abbiamo giocato 40 volte insieme, è uno dei più forti di sempre, ed è bello sentire queste parole, è davvero un complimento. Ma questa finale ho avuto il mio miglior giorno, peccato per lui”, ha ironizzato Djokovic, ammettendo di aver fatto, ogni tanto, l’imitazione dello spagnolo e di imitare anche Fabio Fognini, con cui giocherà il doppio a Montecarlo.

Alla domanda di Fabio Fazio, se conti più, al giorno d’oggi, la forza fisica o quella mentale, Djokovic ha risposto: “Negli ultimi 10 anni il tennis è diventato più fisico, perché la tecnologia è avanzata. Con queste nuove racchette puoi spingere la palla più forte, ma devi essere anche pronto a giocare 5- 6 ore. Ci sono tanti giocatori nei primi 50 del mondo che sono fisicamente molto forti, però, alla, fine chi è mentalmente più forte vince” e ha ammesso di non avere – a differenza di altri – strategie per fare innervosire l’avversario, ma solo “per vincere, per cose che posso fare sul campo”. Parole anche per i suoi due coach: Marián Vajda e Boris Becker: “Marián Vajda è più di un coach, è veramente un amico, una persona a cui posso raccontare i problemi che ho nella mia vita privata, con lui puoi sempre parlare e trovare soluzioni e questo influenza quello che avviene sul campo. Boris Beker è stato anche lui un campione nel mondo, ha vinto tanti tornei, capisce le situazioni che devo affrontare sul campo”.

Djokovic ha ricordato poi alcuni aspetti legati alla sua infanzia e alla guerra in Serbia, riportati nel libro che ha scritto “Il punto vincente”: “L’idea di questo libro è di condividere con tutto il mio mondo la mia storia. Ho avuto una crescita con molte difficoltà, con la guerra. Ho avuto la fortuna, però, di avere grande supporto da parte della mia famiglia – e questo è alla base di tutto nella vita, di tutto il successo che ho avuto -, del mio circolo, del mio paese per quanto potevano in quel momento molto difficile e distruttivo, una cosa che non auguro a nessuno”. Durante la guerra, prosegue, “abbiamo avuto paura i primi 20 giorni e dopo 20 giorni la nostra attenzione non era più sulla guerra, abbiamo iniziato ad avere una vita normale. Adesso, nella vita, apprezzo tutto di più perché ho vissuto questo periodo di guerra. Capisco i momenti in cui non hai niente e capisco i momenti in cui hai tutto, i soldi, tutto quanto… questi sono valori che mi servono”. Tra gli aneddoti, anche la pratica, che usa ancora oggi, di dover colpire una bottiglietta, per 5 volte, con il massimo della forza, al termine degli allenamenti: “è stata un’idea di mio padre. Mi ha motivato mettendo un po’ di soldi sotto la bottiglietta. E’ diventato un esercizio sul campo, qualcosa che facciamo per la precisione del servizio”.

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